Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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La ricerca medica produce economia?

Quale può essere il ritorno economico di imprese scientifiche come ad esempio il sequenziamento del DNA? Sull’edizione italiana dello Scientific American sono riportati i dati di un rapporto pubblicato a giugno dal Battelle Memorial Institute di Columbus sui benefici economici per gli Stati Uniti riconducibili al Progetto Genoma. Si scopre così che dalla data di inizio del progetto, il 1988, il beneficio ammonta a circa 1000 miliardi di dollari: per ogni dollaro pubblico investito in questo progetto, sono stati immessi nell’economia statunitensi 178 dollari.

IEA: energie rinnovabili tallonano il primato del carbone per l’elettricità

Un messaggio molto chiaro quello lanciato dalla direttrice dell’International Energy Agency oggi a Roma: nel 2016 a livello mondiale le fonti rinnovabili supereranno il gas e diventeranno la seconda fonte di produzione di energia elettrica dopo il carbone. In sostanza – afferma la direttrice Maria van der Hoeven – nel 2018 le fonti rinnovabili arriveranno a produrre circa il 25% dell’elettricità. Il quadro d’insieme viene completato dai dati del rapporto redatto dallo stesso IEA secondo cui le rinnovabili risultano ad oggi già competitive nelle aree in cui è possibile sfruttarle in maniera intensiva, con l’eolico che si affianca agli impianti a carbone o gas soprattutto in Australia e Nuova Zelanda e il fotovoltaico già vincente in Spagna, Italia, Germania meridionale, Danimarca. Un capitolo di approfondimento riguarda il nostro Paese dove le rinnovabili nel 2012 hanno coperto il 31% della produzione di energia elettrica lorda. Le conclusioni più “politiche” sono ancora più stringenti: lo sfruttamento delle nuove filiere energetiche rinnovabili saranno determinanti per i Paesi già industrializzati e non cogliere l’occasione significherà uscire dal mercato energetico a favore dei PAesi di più recente industrializzazione. E più della metà della crescita del mercato delle rinnovabili nei prossimi 5 anni si giocherà nell’area non Ocse.

F35: due o tre cose che il Gen. Camporini dovrebbe ristudiarsi

Davvero singolare la nota apparsa a firma del Gen. Vincenzo Camporini su Italia Furtura, già Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica e della Difesa. In sostanza il Nostro definisce surreale la discussione sugli F35 – JSF per diverse ragioni: a) in realtà i soldi non sono oggi disponibili e pertanto la rinuncia non ripagherebbe l’Iva, asili nido o opere per la protezione del territorio; b) la cancellazione produrrebbe una caduta occupazionale e “suonerebbe come un invito ai nostri giovani e brillanti ingegneri a cercarsi lavoro in altri Paesi; c) senza sistemi d’arma avanzati saremmo fuori dai giochi politici internazionali, a differenza di quanto è avvenuto ad esempio recentemente in Libia dove i nostri Tornado hanno difeso gli impianti ENI.  Davvero singolare ma poco efficace la difesa del Generale. Ad esempio il futuro delle opere pubbliche, il blocco dell’Iva o gli asili nido non vengono finanziati avendo subito in saccoccia tutti i soldi, ma alla stessa maniera degli armamenti: mettendoli in preventivo di spesa e spendendoli nei diversi anni. La cancellazione dell’acquisto di questo tipo di tecnologia non farebbe fuggire tutti i nostri giovani ingegneri all’estero. L’alta tecnologia è ben e maggiormente presente in altri settori della vita civile come ad esempio la medicina: i nostri ingegneri potrebbero impegnare (e in realtà già lo fanno) la loro intelligenza su argomenti tecnologicamente molto più avanzati dei sistemi d’arma come quelli medici, di protezione climatica, di studio dei nuovi materiali e quant’altro. Basterebbe solo che lo Stato desse segnali più “sinceri” in questi settori. Sulla questione del ruolo della nostra presenza in scenari di guerra come il recente libico, davvero il Gen. Camporini farebbe meglio ad applicarsi maggiormente ad altri settori. Prescindendo dal fatto che la difesa dei pozzi Eni non ha trovato di fronte tecnologia militare d’avanguardia ma quattro poveretti davvero mal equipaggiati, lo inviterei a ristudiarsi un po’ di storia patria. ad esempio, giusto parlando di Eni, gli porterei l’esempio di come Enrico Mattei riuscì a far entrare la debole Italia postbellica nel parterre petrolifero e di come mantenne intatte le torri di estrazione petrolifere in tempi certamente non meno “bellicosi” degli attuali. Fece una cosa molto semplice: strinse accordi e patti equi con i governi legittimi padroni dei territori ricchi di oro nero, inaugurando il famoso 50-50. Non quindi prendendoli con le armi, ma stipulando patti equi, cosa che ne ha permesso la difesa per lunghi anni anche al di là dei blocchi politico-militari dell’epoca. Non è sempre vero che “si vis pacem para bellum”. Ci ripensi, Generale.

Green Obama

“Dobbiamo agire. Come Presidente, come padre e come americano, sono qui per dirvi che dobbiamo agire”. Così Barack Obama riscrive la sua agenda verde e lancia la sua battaglia contro il cambiamento climatico nel suo molto atteso discorso alla Georgetown University. E non ha deluso, non si è sottratto a prese di posizione puntuali come quella riguardante la costruzione dell’oleodotto di Keystone che ha allertato gli ambientalisti americani. Proprio su questo punto ha rimarcato un punto fondamentale per capire la nuova strategia dell’amministrazione Usa ed un cambio di passo che potrebbe segnare davvero la differenza su cui misurare le politiche dei governi. “Gli interessi nazionali – ha detto il Presidente Usa – saranno serviti se questo progetto non esaspererà gli effetti dell’inquinamento da carbonio. Gli effetti negativi non possono prevalere. Non ci possono essere ulteriori effetti negativi sul cambiamento climatico, quindi faremo una valutazione necessaria per capire se andare avanti con la costruzione”. Un’affermazione davvero pesante: la protezione ambientale è interesse nazionale. Così come la green economy diventa una sorta di spina dorsale della futura crescita economica americana senza irrealistici furori ideologici: “L’economia verde può essere il motore per i prossimi decenni e voglio che costruiamo quel futuro. È il nostro compito. Questo non vuol dire che improvvisamente smetteremo di produrre carburanti fossili, un periodo di transizione richiede tempo, ma chi dice che questo danneggerà i rifornimenti energetici, mente”. Per non dare l’idea di una semplice enunciazione, Obama ha annunciato che il piano prevede 8 miliardi di dollari in garanzie per prestiti per investimenti su tecnologie che impediscano il rilascio di biossido di carbonio, fissando parametri di riduzione pari a più del 50% dell’inquinamento annuale da carbone del settore energetico statunitense. Oltre ad un secco mandato all’EPA (Environmental Protection Agency) per la compilazione di azioni contro le emissioni climateranti di CO2 entro giugno 2014.

Qui la bella infografica della Casa Bianca sul piano di Obama

La nascita di Green Italia: l’ambiente che vuole fare

Da segnalare due interessanti articoli sulla costituenda formazione “Green Italia” – che si riunirà il prossimo 28 giugno a Roma – con i contributi di Della Seta- Ferrante e Beppe Gamba di cui riprendo un inciso significativo 

Quello che stiamo proponendo non è una nuova “formula” dei Verdi: io sono convinto che, purtroppo, in Italia, i Verdi Italiani e gli ambientalisti – a torto o a ragione – abbiano dato di sé l’idea di quelli che non fanno fare le cose. Noi ci proponiamo, al contrario, di “fare le cose” giuste, “fare le cose” dello sviluppo sostenibile. E fare le cose vuol dire anche che le ferrovie si debbano costruire, se necessarie, che gli impianti per il trattamento dei rifiuti sorgano sul territorio, se c’è bisogno, che gli impianti di produzione delle energie rinnovabili vadano realizzati. Certo, bisogna rispettare le regole, prima di procedere, occorre la valutazione di impatto ambientale: non è che ogni volta, un amministratore è costretto a correre dietro a un comitato Nimby locale! Perché altrimenti, torneremmo al passato. I Verdi italiani e una parte del nostro ambientalismo (a differenza di quanto accade in Europa) hanno finito con l’incarnare solo il “no”: al cambiamento e a un modello diverso di politica ambientale.

Obama lancia il piano verde contro il riscaldamento globale

Barack Obama riparte all’assalto contro il Global Warming – riscaldamento climatico – ed annuncia un “Piano Nazionale” che verrà presentato martedì 25 giugno alla Georgetown University. Poche le indiscrezioni sul contenuto del piano eccettuata quella riportata dal Wall Street Journal secondo il quale il piano prevede una regolamentazione delle emissioni delle centrali elettriche con forti riduzioni da parte soprattutto delle centrali a carbone. Ma dalle parole del Presidente Usa, oltre alla volontà di rispettare gli impegni internazionali presi per la riduzione del 17% delle emissioni di gas climalteranti rispetto ai livelli del 2005, traspare la convinzione che la green economy possa contribuire in maniera strategica al consolidamento dei fondamentali di produzione economici del gigante  americano. «Abbiamo bisogno di scienziati che mettano a punto nuovi combustibili; abbiamo bisogno di ingegneri che individuino nuove fonti energetiche e di aziende che le producano e le vendano; abbiamo bisogno di lavoratori che gettino le basi per un’economia ‘pulita’. Abbiamo bisogno di tutti, ognuno deve fare la propria parte per preservare quello che Dio ha creato per le future generazioni» ha dichiarato Obama. Il cambiamento climatico è per l’amministrazione americana non solo una sfida seria, ma l’opportunità per un nuovo paradigma economico

La prima volta della produzione del 100% di energia da fonti rinnovabili in Italia

Domenica 16 giugno, tra le 14 e le 15, il prezzo di acquisto dell’energia elettrica in Italia è sceso a zero contemporaneamente su tutto il territorio nazionale. Cosa significa? Significa che in quelle 2 ore per la prima volta in Italia le fonti di energia rinnovabile hanno prodotto l’intero fabbisogno di elettricità. Qui sul sito di Qualenergia.it per capirne di più

La Francia discute sulla fiscalità ecologica in Finanziaria

Da qualche mese in Francia si discute dell’introduzione della fiscalità ecologica all’interno della legge finanziaria del 2014. Nello specifico si è arrivati alla proposizione di un testo a firma del Presidente della Commissione sulle Sviluppo Sostenibile che include ipotesi riguardanti i carburanti maggiormente inquinanti, il consumo di carbone, derivati dallo scisto e via discorrendo. Il documento auspica che la nuova fiscalità ecologica, caratterizzata da stabilità, chiarezza e previdibilità, permetta il finanziamento della cosiddetta “transizione ecologica” e di modificare i comportamenti dei diversi agenti economici attraverso una serie di strumenti economici. La messa in opera di questo strumentario fiscale prevede una tempistica che supera l’attuale quinquennio legislativo e impegni in maniera costante la Francia al di là degli eventuali cambi di maggioranze al governo. Tale chiarezza d’intenti è energicamente affermata dall’attuale Ministro per l’Ecologia Delphine Batho che ha affermato “la volontà di mettere in piedi una fiscalità ecologica che incentivi la transizione ecologica e non aumenti la pressione fiscale”

Confindustria punta sull’efficienza energetica. Il rapporto

Confindustria costituisce una Task Force sull’efficienza energetica e pubblica un interessante rapporto riguardo alla valutazione dei risparmi energetici conseguibili e ponendo in evidenza le tecnologie disponibili con un’analisi costo/beneficio in grado di individuare potenziali risparmi evitando oneri addizionali alle imprese. Un importante sottolineatura riguarda la possibile riduzione della dipendenza esterna da fonti energetiche primarie caratterizzate da forti instabilità di costo e da pericolose disponibilità di approvvigionamento energetico, oltre al miglioramento dell’impatto ambientale ottenibile senza una diminuzione degli standard di vita ma, al contrario, rendendoli possibili ad una platea più ampia di persone in maniera sostenibile.

Qui il link per accedere al rapporto

L’Italia non sa esportare nemmeno il vino

Se il diavolo si nasconde nei dettagli, non è certo una buona notizia quella che ci proviene dal Rapporto Ismea 2013 che prende in considerazione le nostre esportazioni di vino in Cina. Secondo tale classifica la Francia è il primo fornitore con il 51% del mercato, mentre l’Italia arriva sesta con uno “smilzo” 6% dietro anche alla Spagna (7%), per non parlare dell’Australia che porta a casa il 14%. Se la qualità del nostro vino non è davvero in discussione, dovremmo davvero interrogarci sulla nostra incapacità nel guadagnare fette di mercato estero con un prodotto che davvero può essere considerato un’ eccellenza. La sensazione di essere davvero nelle mani di incapaci di qualità si fa sempre più strada…