lug 142022
 

panksepp

Teoria delle pulsioni e delle emozioni – da Sigmund Freud a Jaak Panksepp

Cezary Żechowski

(Theory of drives and emotions –from Sigmund Freud to Jaak Panksepp)

 Psychiatr. Pol. 2017; 51(6): 1181–1189.   PL ISSN 0033-2674 (PRINT), ISSN 2391-5854 (ONLINE) www.psychiatriapolska.pl DOI: https://doi.org/10.12740/PP/61781

Abstract

L’articolo discute lo sviluppo della teoria psicoanalitica nella direzione di ampliare la riflessione su di sé sulla base di dati derivati da studi empirici diversi dal caso clinico. Particolarmente degna di nota è la convergenza che è seguita tra neuroscienze e psicoanalisi e l’affermarsi della cosiddetta neuropsicoanalisi. Di conseguenza, ciò ha portato ad espellere le ipotesi empiriche e ad avviare ricerche sui meccanismi di difesa, sul sé, sulla memoria, sui sogni, sull’empatia, sull’inconscio dinamico e sui processi emotivo-motivazionali (teoria delle pulsioni). Attualmente la neuropsicoanalisi si è costituita come disciplina che contiene in sé tre aree distinte: le neuroscienze psicodinamiche, la neuropsicoanalisi clinica e la costruzione della teoria. L’articolo presenta la teoria dei sistemi emozionali di Jaak Panksepp come esempio di neurobiologia integrata degli affetti, biologia comportamentale, psicologia evolutiva e psicoanalisi. La teoria dei sistemi emozionali include la descrizione del sistema SEEKING che rappresenta il sistema motivazionale di base dell’organismo. Partendo da una nuova prospettiva sulla teoria delle pulsioni descritta da Sigmund Freud, offre la possibilità di prendere in considerazione i sistemi emotivi e motivazionali nell’ambito della comprensione dei disturbi mentali come la depressione, la dipendenza e la psicosi, che è il nucleo del pensiero psicoanalitico.

 Neuroscienze e psicoanalisi

Lo sviluppo di nuove tecnologie, come in primo luogo la neuroimmagine, ha portato a un significativo progresso delle neuroscienze, che dalla fine del XX secolo hanno esplorato nuove aree di ricerca, prima non disponibili. Una di queste aree è rappresentata dai concetti di mente e terapia sviluppati dalla psicoanalisi. Infatti, il neurobiologo premio Nobel Eric Kandel [1, 2] ha scritto nelle sue opere, oggi considerate canoniche, che la psicoanalisi porta la visione più coerente e soddisfacente della mente. Egli ha proposto che la neurobiologia, la psicologia cognitiva e la psicoanalisi uniscano i loro sforzi per sviluppare un concetto comune del funzionamento del cervello umano e della psiche. A suo avviso, tale modello sarebbe molto utile per la comprensione delle condizioni di salute e di sviluppo, nonché per l’incidenza e la terapia dei disturbi mentali. Kandel ha sottolineato che questo modello non minaccerebbe l’indipendenza di ogni disciplina né limiterebbe la libertà di sviluppo e di ricerca. Continue reading »

mar 182022
 

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“Personalmente ritengo che la guerra rappresenti una istituzione sociale volta a curare angosce paranoicali e depressive esistenti (in misura più o meno marcata e più o meno risolte in termini di integrazione con la realtà) in ogni uomo. Una tale organizzazione ha due funzioni di sicurezza, e può essere rappresentata come un iceberg, con una parte superficiale e visibile, e un’altra sommersa e nascosta nelle acque profonde. La prima parte riguarda la difesa da un pericolo esterno (il nemico reale in carne ed ossa, tanto per intenderci), mentre l’altra, quella nascosta, è inconscia e riguarda un’operazione di difesa e di sicurezza di fronte a terribili entità fantasmatiche, senza carne né ossa, ma che hanno ima pericolosità assoluta (quella che appare, poniamo, nell’incubo) e che potremmo chiamare “il Terrificante.”

Se si rimane sul puro terreno politico-militare, sulla parte esterna cioè dell’iceberg, l’opinione più ovvia e generalmente condivisa da tutti è che il pericolo dal quale la guerra ci difende è il nemico che minaccia la nostra sicurezza: il pericolo è cioè un aggressore esterno. 

Se però si adopera lo strumento psicoanalitico, lo strumento cioè specificamente inventato per indagare l’inconscio, la parte immersa dell’iceberg, ovvero la parte invisibile della guerra come organizzazione di sicurezza, serve invece per difendersi dal “Terrificante,” quale nemico interno e assoluto come l’incubo, attraverso una operazione che trasformi tale entità terrificante ma in definitiva inaffrontabile e invulnerabile (proprio come avviene negli incubi) in un nemico esterno in carne ed ossa e che possa essere realmente affrontabile e colpito. Se ora ci fermiamo un poco a riflettere su questi singolari rapporti tra questi due sistemi di sicurezza, coimplicati nella guerra, si arriva alla paradossale conclusione che la guerra è un’organizzazione di sicurezza non già perché permette di difenderci da nemici reali, ma perché riesce a trovare e al limite ad inventare dei nemici reali da uccidere, in caso contrario la società rischierebbe di lasciare gli uomini senza difesa di fronte all’emergenza del terrificante come puro nemico interno. “

Franco Fornari – Psicoanalisi della guerra

 

mar 172022
 

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“La prima domanda rivolta dall’uomo della strada ad uno psicoanalista che tratti della guerra potrebbe essere questa: con che diritto uno psicoanalista si occupa di queste cose che non sono di sua competenza? La mia risposta è che lo psicoanalista, analizzando persone che vivono problemi politici, si trova in una condizione privilegiata per osservare le modalità individuali, i congegni interni cioè, attraverso i quali vengono elaborate le esperienze politiche e le esperienze sociali in genere. Egli è perciò nelle condizioni migliori per osservare l’influenza che l’inconscio in genere esercita sulle modalità di vivere le opzioni politiche o le modalità in cui inconsciamente la guerra è fantasticata dagli uomini. In modo particolare lo psicoanalista, attraverso il linguaggio simbolico e la dialettica affettiva (che ha le sue leggi particolari diverse dalla dialettica intesa come pura esperienza cognitiva) può osservare che le opzioni politiche e le esperienze degli individui in guerra — oltre a contenere motivazioni realistiche — vengono interferite da sistemi di difesa, da angosce psicotiche (cioè da paure vistosamente illusorie). È, quindi quest’ultima constatazione che sembra giustificare l’esercizio della ricerca psicoanalitica in un settore che, se indagato con uno strumento appropriato, rivela singolarità fattuali e grosse deformazioni di realtà che si avvicinano alle modalità di esperienza psicopatologica.”

 Franco Fornari – Psicoanalisi  della guerra

 

mag 202020
 

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“Ultimamente, in Francia, c’è stato un pullulare di attacchi molto violenti soprattutto da parte di persone incompetenti, contro la psicoanalisi. Sono attacchi che rappresentano un pericolo generale per tutto il mondo intellettuale perché evidentemente non mirano solo alla psicoanalisi. Marx, per esempio, è oggetto di un’intensa offensiva, accusato, dai nostri moralisti, di essere compromesso con l’inumanità del “totalitarismo”. Anche Darwin è stato messo alla gogna dai reazionari americani e da più parti è fortissima la tentazione di mettere in discussione le scoperte di Einstein. L’obiettivo, esplicito o meno, di questi attacchi è quello di distruggere le figure intellettuali moderne e di sostituirle con dei sotto-prodotti tecnici, comodi, usa e getta, conditi in salsa moralista passe-partout. Per me è necessario insorgere contro questa volontà di svalutazione e di addomesticamento del pensiero, sia politico, sia scientifico, sia psicoanalitico. Il pericolo è reale ed estremamente serio. Per parafrasare un motto famoso di Clemenceau, non possiamo lasciare la difesa della psicoanalisi ai soli psicoanalisti. La lotta dev’essere allargata. Certamente gli psicoanalisti sono in prima linea nella battaglia per il riconoscimento della loro disciplina e della loro pratica, però la professionalizzazione segnalata da Élisabeth costituisce una minaccia di auto-addomesticamento. Non si può abbandonare la psicoanalisi a questo destino funesto e gli aiuti dall’esterno sono necessari. Del resto, gli attacchi attuali contro la psicoanalisi mi sembrano ancora più gravi di quelli contro il marxismo, perché in fondo le polemiche interne o esterne fanno parte del marxismo stesso; le contraddizioni, gli antagonismi sono nel loro habitat naturale. Il marxismo presuppone e implica lo scontro. Quel che sta accadendo alla psicoanalisi, invece, è molto più pericoloso e l’allerta è massima, perché voler sradicare Freud o Lacan significa criticare la concezione stessa del soggetto moderno. E se si distrugge quest’ultimo, la porta è aperta a tutte le ideologie reazionarie della peggior specie. Ecco perché mi sento di lanciare solennemente quest’appello: insorgete tutti in difesa della psicoanalisi, in qualunque modo.”

 ”Alain Badiou, Elisabeth Roudinesco. “Jacques Lacan, passato presente. Un dialogo (Mimesis)”.

 

apr 292020
 

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Da quando è cominciata l’emergenza sanitaria correlata alla diffusione della COVID-19 i professionisti sanitari sono impegnati in prima linea a fronteggiare l’epidemia nei vari setting del servizio sanitario, esposti al rischio di infezione e a un sovraccarico emotivo: carenza di adeguati dispositivi di protezione individuale, turni di lavoro incalzanti, fatica fisica, riduzione delle risorse umane e in alcuni casi precarietà organizzativa. A questo si aggiungono situazioni determinate dalla forte pressione a cui è sottoposto il servizio sanitario, che possono contribuire ad appesantire ulteriormente il vissuto emotivo dei professionisti: essere chiamati a intervenire in discipline diverse da quelle di appartenenza; la possibilità, per i medici neolaureati o gli specializzandi ancora in formazione, di trovarsi a fronteggiare condizioni critiche che richiederebbero maggiore esperienza; l’invito a continuare a lavorare anche se si è stati a contatto con pazienti affetti da COVID-19 e permanga il timore del contagio; le cure e il sostegno prestati a domicilio dai medici di medicina generale agli assistiti con sintomi più lievi. (…)

Qui l’articolo su Epicentro

apr 072020
 

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COVID-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale

Tonino Cantelmi e Emiliano Lambiase. Istituto di Terapia Cognitivo-Interpersonale – Roma

A milioni di persone in tutto il mondo è stato imposto di adottare comportamenti di distanziamento sociale e di isolamento, al fine di rallentare la diffusione dell’infezione da COVID-19 e di proteggere sé stesse. Secondo tutti gli osservatori è la prima volta che l’umanità vive una situazione dovuta alla straordinaria rapidità della diffusione nel mondo dell’infezione da coronavirus, merito della globalizzazione e della maggiore facilità e rapidità con la quale ci si può spostare quasi ovunque. Gli elementi con potenziale psicopatologico sono molteplici: l’effetto traumatico dell’evento, caratterizzato da fenomenologie sintomatiche gravi e letali, soprattutto per la popolazione più fragile; il carico di preoccupazione e paure generate sia dalla possibilità del contagio, sia dalle conseguenze economiche e sociali della pandemia; il potenziale effetto psicolesivo delle restrizioni della libertà conseguenti alle misure di distanziamento sociale ed isolamento adottate dalle autorità. Recentemente, Brooks e colleghi (2020) hanno pubblicato una rassegna nella quale hanno analizzato situazioni simili vissute negli ultimi decenni a seguito di SARS, Ebola, influenza H1N1 o MERS. La maggior parte degli studi esaminati ha riportato effetti psicologici negativi, tra cui disturbi post- traumatici da stress, confusione e rabbia. I fattori predisponenti per lo sviluppo dei sintomi includevano: durata delle misure di isolamento, paura di contrarre l’infezione, frustrazione, noia, forniture inadeguate di beni essenziali (es. cibo) o necessari (es. farmaci o strumenti medici), informazioni inadeguate, perdite finanziarie e stigmatizzazione dei contagiati. (continua)

Qui il link per leggere l’articolo completo 

gen 192020
 

zizek“L’antisemitismo, per esempio, «reifica» (incorporandola in un particolare gruppo di persone) la rivalità insita nella società: esso tratta l’essere Ebrei come la Cosa che, dall’esterno, si intromette nel corpo sociale e ne disturba l’equilibrio. Quel che accade nella svolta dalla posizione della rigorosa lotta di classe all’antisemitismo fascista non è una semplice sostituzione di una figura del nemico (la borghesia, la classe dominante) con un’altra (gli Ebrei); la logica della lotta è affatto diversa. Mentre nella lotta di classe le classi stesse sono coinvolte nella rivalità insita nella struttura sociale, per l’antisemita l’ebreo è un intruso straniero che provoca la rivalità sociale, sicché ciò che dobbiamo fare per ristabilire l’armonia sociale è annientare gli Ebrei. In altre parole, un fascista antisemita eleva l’ebreo a quella Cosa mostruosa che provoca la decadenza sociale ”

Passi di: Slavoj Zizek. “Leggere Lacan- Guida perversa al vivere contemporaneo”.

gen 122020
 

220px-Paula_HeimannSUL CONTROTRANSFERT (1)

Paula Heimann

Sono stata stimolata a scrivere questa breve nota sul controtransfert da alcune osservazioni che ho fatto in seminari e analisi di controllo. Sono rimasta colpita dall’idea, diffusa tra i candidati, che il controtransfert non sia altro che una fonte di guai. Molti candidati hanno paura e si sentono colpevoli quando si accorgono di provare sentimenti verso i loro pazienti, e di conseguenza cercano di evitare qualsiasi risposta emotiva e di diventare completamente «distaccati». Quando ho cercato di comprendere le origini di questo ideale di un analista «distaccato», mi sono resa conto che la nostra letteratura non contiene descrizioni del lavoro analitico che possano far nascere l’idea che un buon analista provi per il proprio paziente solo una costante e moderata benevolenza; e che invece ogni increspatura di questa superficie liscia costituisca una perturbazione che deve essere superata.  Forse ciò può derivare da una cattiva interpretazione di alcune affermazioni di Freud, come il suo paragone con lo stato mentale del chirurgo durante un operazione, o l’altra analogia dello specchio; queste frasi infatti sono state citate spesso nelle discussioni sulla natura del controtransfert. D’altra parte esiste una diversa linea di pensiero, come quella di Ferenczi, che non solo riconosce che l’analista prova per il paziente una grande varietà di sentimenti, ma consiglia anche in certi casi di esprimerli apertamente. Continue reading »

dic 182019
 

della seta

Un bel libro questo di Lucio Della Seta: semplice ma non semplicistico, scorrevole e comprensibile da tutti perché a tutti è indirizzato. Ognuno di noi ha provato l’esperienza dell’ansia e del senso di colpa senza trovare, spesso, motivazioni che potessero giustificare la sproporzione di queste sensazioni con le cause che ci siamo costruiti nella nostra mente. Della Seta, analista della scuola di Jung ma di ampio respiro psicoterapeutico, ripercorre i passaggi della nostra storia personale mostrandoci molti meccanismi biologici e psichici inconsci che costruiscono questa realtà universale della natura umana, con molti messaggi di speranza, tra cui scelgo quello della possibilità di cambiare gli occhiali attraverso cui guardiamo noi stessi e gli altri, a cui occhi pensiamo spesso di non valere o che siano ostili “a prescindere”, mentre più probabilmente si occupano di noi molto meno di quanto noi ci occupiamo di noi stessi.