Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

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Amazon parlerà italiano

Secondo il Post, Bitmat.it e IlSole24Ore sembra ormai imminente lo sbarco di Amazon in Italia. Penso sia una buona notizia per i consumatori italiani perchè si completerebbe un fondamentale tassello nel commercio via web, finora molto spezzettato in diversi rivoli. Oltre al fatto che Amazon dalla sua comparsa adotta una strategia aggressiva di prezzo con standard alti e con margini bassi, che si ripagano sulla quantità. Non sarà solo possibile l’acquisto di Kindle e l’immediata spinta allo sviluppo dell’editoria digitale, ma saremo inondato anche da alimentari, elettronica, libri e contenuti digitali vari spesso anche con fenomeni di dumping, cioè di acquisto a sottoprezzo come strategia per invadere il mercato e annientare la concorrenza. Il tutto in un unico centro commerciale web. Staremo a vedere, soprattutto per capire se i nostri servizi postali saranno all’altezza della sfida. Ma i benefici per i consumatori comunque ci saranno…

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Silvio’s inception

GIANCARLO FONTANA e GIUSEPPE G. STASI

AVVERTENZA:

Benché dopo appena 30 secondi diventi palese, gli autori assicurano che questo cortometraggio è dall’inizio alla fine una commedia surreale e che, come tale, non va preso sul serio.

Insistere – com’è consuetudine delle forze politiche della II Repubblica – sul fatto che opere simili possano essere potenzialmente incendiarie e provocatorie, significa fraintendere le intenzioni ed emettere un giudizio inopportuno.

Pertanto, prima che pensiate che quanto vedrete possa nuocere a qualcuno o che addirittura infonda odio bolscevico, rammentate che il Paese in cui viviamo appartiene in egual misura ai santi e ai buffoni, e che questo brevissimo film, al di là dei suoi contenuti deliberatamente fittizi, conserva nella forma la sincerità dirompente della satira e della parodia, le uniche speranze di un popolo malandato come il nostro.

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La sinistra

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Gli schiavi di Topolino

Hanno mani piccole e dita veloci, che paiono fatte apposta per cucire e incollare con rapidità tessuti, plastica, piccole rifiniture. In India, Bangladesh e nei Paesi più poveri i bambini sono considerati forza lavoro pregiata. Sottopagati e senza tutele, possono essere sfruttati a pochi dollari al mese.

Una importante denuncia su Lettera43 da parte di China Labour Watch (Clw), una ong americana contro lo sfruttamento minorile che ha pubblicato un rapporto in cui si denuncia le condizioni di lavoro in due stabilimenti nel Paese asiatico

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Nasce Narcissus

Nasce NARCISSUS, un self-publishing attraverso cui puoi trasformare i tuoi libri in formato ePub – lo standard degli ebook – e metterli in vendita, grazie alla piattaforma Stealth di Simplicissimus, su tutte le principali librerie online

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L’Italia da distruggere: la meglio gioventù

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Bernard Henri-Lèvy: ma Obama resta una grande speranza

(via Corriere della Sera)

Così dunque Obama ha perso. Come previsto, sebbene in maniera meno netta di quanto pronosticato e soprattutto di quanto speravano gli illuminati dei Tea Party, gli elettori americani gli hanno inflitto un voto-sanzione. Del resto, egli stesso l’ha immediatamente riconosciuto, con una semplicità, un’eleganza, un fair play degni di ammirazione.

Detto questo, la campagna per le elezioni di medio termine è finita. Ci sono argomenti che, finché la battaglia impazzava, forse facevano parte del gioco (per quanto…) ma, ora che si è conclusa e si torna alle cose serie, ci piacerebbe non sentire più.

Bisognerebbe smettere di dire, per esempio, che la politica economica di Obama ha «creato disoccupazione», mentre tutti gli studi scrupolosi (a cominciare da quello di fine agosto dei filo-repubblicani Mark Zandi e Alan Blinder) riconoscono che ha creato circa tre milioni di nuovi posti di lavoro e che il tasso di disoccupazione, senza di essa, si situerebbe fra l’11 e il 16%. Bisognerebbe smettere di raccontare che l’economia mondiale, con Obama e per sua colpa, stava correndo verso il fallimento, allorché è fortemente probabile (come scrive François David sul Figaro del 1˚novembre) che abbia cominciato a risollevarsi sotto l’impulso, certo, dei «Paesi emergenti», ma con l’appoggio — perché non ammetterlo? — di una politica monetaria statunitense, l’unica veramente possibile in un Paese i cui consumatori continuano a pesare, da soli, il 18% del Pil mondiale.

In ogni modo, non si può ritenere un presidente eletto due anni fa responsabile del cattivo stato dell’America, della lenta distruzione delle infrastrutture, del declino del sistema educativo o della produttività, come fa Arianna Huffington nel suo libro ( Third World America, Crown Publishing Group), poiché tale rovina è cominciata, lo dice bene lei stessa, quando Obama non era ancora entrato in politica. Non si può rimproverargli di agire al tempo stesso troppo velocemente e non abbastanza. Di preoccuparsi troppo dei consensi, di fare troppi compromessi con gli avversari, e di volersi imporre con la forza. Non ci si può impietosire sul suo 49% di opinioni favorevoli nei sondaggi, mentre altri — per esempio Sarkozy — sono fermi al 29%. Né sul «disincanto» dei suoi sostenitori, visto che due autori satirici — Jon Stewart e Stephen Colbert — sono riusciti, nelle ultime ore della campagna, a far manifestare sul National Mall 150.000 persone che gli erano furiosamente favorevoli. Non si può continuare a ripetere che un sisma minaccia Washington, quando a questo presidente accade quel che successe, a metà mandato, a tanti altri presidenti prima di lui: senza risalire fino a Eisenhower, Nixon o Johnson, Obama è più o meno nella stessa situazione di Reagan nel 1982, di Clinton nel 1994, di Bush nel 2006. Non è la fine del mondo.

Bisogna smettere anche di farfugliare che Obama «non ha mantenuto le promesse». Di quali promesse si parla? Per quanto riguarda il sistema sanitario che, prima di lui, condannava 46 milioni di poveri alla mancanza di cure e, quindi, a una morte precoce, egli ha avviato la più grande rivoluzione che il Paese abbia conosciuto dall’epoca del movimento per i diritti civili: certo, bisogna portarla a termine, rimane cioè da votarne il bilancio. Ma su questo punto la palla è nel campo dei repubblicani e spetterà a loro dire se si comporteranno da sabotatori o da responsabili.

Quanto all’Iraq, ha mantenuto la parola, poiché il ritiro, fin da ora, è avviato e alla fine del 2011 non ci sarà più un soldato americano a Bagdad o a Bassora. Quanto al Medio Oriente, ha fatto il contrario rispetto ai suoi predecessori, che aspettavano gli ultimi mesi dell’ultimo anno del loro ultimo mandato per accorgersi del problema e impegnarsi in una corsa contro il tempo, il cui principale scopo era di ottenere, strappandolo coi denti, come un trofeo, un vago accordo raffazzonato che, beninteso, in realtà non veniva mai raggiunto: Barack Obama, invece, si è reso conto dell’urgenza, e della complessità, dell’impresa fin dal primo giorno del primo anno del suo primo mandato. Già questo non è così male.

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Uomo con la pistola, uomo con la biro

Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con la biro, l’uomo con la pistola è un uomo morto… (R.Benigni)

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Over-packaging

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Resto a MI

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