Dorino Piras

La Salute, l'Ambiente, il Lavoro

Liste d’attesa in sanità

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La prevalenza per tumore, cioè il numero dei malati del passato sopravvissuti alla malattia, è altissima in paesi maggiormente sviluppati come il nostro, mentre risulta decisamente inferiore nei paesi più poveri in Europa. Nei paesi ricchi è alta sia la probabilità di ammalarsi di cancro che di guarire da esso. Ma, come tutti sappiamo, nessuno si può considerare guarito definitivamente da una malattia di così forte impatto sociale, e la lista delle persone con esperienza oncologica si ingrossa ogni giorno andando a incrementare la domanda sanitaria. È fortemente suggestivo come il problema delle liste d’attesa, soprattutto riguardo alla specialistica, trovi una delle sue spiegazioni considerando il crescente numero di persone guarite o curate che hanno sofferto per patologie cronico degenerative come quelle a carattere oncologico o cardiovascolare, e ne siano uscite dopo la somministrazione di adeguate cure. D’altronde è un fatto intuitivo come il numero dei soggetti che hanno superato patologie gravi sia destinato a crescere nel futuro. Questo problema, cioè l’allungamento dei tempi d’attesa per la soddisfazione delle prestazioni con il formarsi di code sempre più consistenti, è stato uno dei cavalli di battaglia e ideologici delle forze conservatrici per criticare l’inefficienza del sistema sanitario pubblico. Tenendo a mente quanto illustrato prima, questo risultato può invece essere considerato la spia di un sistema sanitario pubblico che ha prodotto salute per molti malati, ma che non è stato contemporaneamente efficace nel fermare il numero di nuovi casi.

Seguendo questo filo logico risulta immediatamente comprensibile come il miglior intervento per porre un freno al crescere di questa richiesta, contenendo quindi contemporaneamente il problema delle liste d’attesa, non può che essere un’azione decisa nel campo della medicina preventiva. Tenendo conto queste premesse è logico osservare come l’adesione alle linee di tendenza della medicina a carattere privatistico rappresenti un pericolo per il futuro: solo un forte intervento pubblico può determinare il contenimento dei costi sanitari.

Mettiamoci in gioco!

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ECCOCI!

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Teoria delle pulsioni e delle emozioni – da Sigmund Freud a Jaak Panksepp. Cezary Żechowski

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Teoria delle pulsioni e delle emozioni – da Sigmund Freud a Jaak Panksepp

Cezary Żechowski

(Theory of drives and emotions –from Sigmund Freud to Jaak Panksepp)

 Psychiatr. Pol. 2017; 51(6): 1181–1189.   PL ISSN 0033-2674 (PRINT), ISSN 2391-5854 (ONLINE) www.psychiatriapolska.pl DOI: https://doi.org/10.12740/PP/61781

Abstract

L’articolo discute lo sviluppo della teoria psicoanalitica nella direzione di ampliare la riflessione su di sé sulla base di dati derivati da studi empirici diversi dal caso clinico. Particolarmente degna di nota è la convergenza che è seguita tra neuroscienze e psicoanalisi e l’affermarsi della cosiddetta neuropsicoanalisi. Di conseguenza, ciò ha portato ad espellere le ipotesi empiriche e ad avviare ricerche sui meccanismi di difesa, sul sé, sulla memoria, sui sogni, sull’empatia, sull’inconscio dinamico e sui processi emotivo-motivazionali (teoria delle pulsioni). Attualmente la neuropsicoanalisi si è costituita come disciplina che contiene in sé tre aree distinte: le neuroscienze psicodinamiche, la neuropsicoanalisi clinica e la costruzione della teoria. L’articolo presenta la teoria dei sistemi emozionali di Jaak Panksepp come esempio di neurobiologia integrata degli affetti, biologia comportamentale, psicologia evolutiva e psicoanalisi. La teoria dei sistemi emozionali include la descrizione del sistema SEEKING che rappresenta il sistema motivazionale di base dell’organismo. Partendo da una nuova prospettiva sulla teoria delle pulsioni descritta da Sigmund Freud, offre la possibilità di prendere in considerazione i sistemi emotivi e motivazionali nell’ambito della comprensione dei disturbi mentali come la depressione, la dipendenza e la psicosi, che è il nucleo del pensiero psicoanalitico.

 Neuroscienze e psicoanalisi

Lo sviluppo di nuove tecnologie, come in primo luogo la neuroimmagine, ha portato a un significativo progresso delle neuroscienze, che dalla fine del XX secolo hanno esplorato nuove aree di ricerca, prima non disponibili. Una di queste aree è rappresentata dai concetti di mente e terapia sviluppati dalla psicoanalisi. Infatti, il neurobiologo premio Nobel Eric Kandel [1, 2] ha scritto nelle sue opere, oggi considerate canoniche, che la psicoanalisi porta la visione più coerente e soddisfacente della mente. Egli ha proposto che la neurobiologia, la psicologia cognitiva e la psicoanalisi uniscano i loro sforzi per sviluppare un concetto comune del funzionamento del cervello umano e della psiche. A suo avviso, tale modello sarebbe molto utile per la comprensione delle condizioni di salute e di sviluppo, nonché per l’incidenza e la terapia dei disturbi mentali. Kandel ha sottolineato che questo modello non minaccerebbe l’indipendenza di ogni disciplina né limiterebbe la libertà di sviluppo e di ricerca. (altro…)

Psicoanalisi della guerra ovvero “il Terrificante”

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“Personalmente ritengo che la guerra rappresenti una istituzione sociale volta a curare angosce paranoicali e depressive esistenti (in misura più o meno marcata e più o meno risolte in termini di integrazione con la realtà) in ogni uomo. Una tale organizzazione ha due funzioni di sicurezza, e può essere rappresentata come un iceberg, con una parte superficiale e visibile, e un’altra sommersa e nascosta nelle acque profonde. La prima parte riguarda la difesa da un pericolo esterno (il nemico reale in carne ed ossa, tanto per intenderci), mentre l’altra, quella nascosta, è inconscia e riguarda un’operazione di difesa e di sicurezza di fronte a terribili entità fantasmatiche, senza carne né ossa, ma che hanno ima pericolosità assoluta (quella che appare, poniamo, nell’incubo) e che potremmo chiamare “il Terrificante.”

Se si rimane sul puro terreno politico-militare, sulla parte esterna cioè dell’iceberg, l’opinione più ovvia e generalmente condivisa da tutti è che il pericolo dal quale la guerra ci difende è il nemico che minaccia la nostra sicurezza: il pericolo è cioè un aggressore esterno. 

Se però si adopera lo strumento psicoanalitico, lo strumento cioè specificamente inventato per indagare l’inconscio, la parte immersa dell’iceberg, ovvero la parte invisibile della guerra come organizzazione di sicurezza, serve invece per difendersi dal “Terrificante,” quale nemico interno e assoluto come l’incubo, attraverso una operazione che trasformi tale entità terrificante ma in definitiva inaffrontabile e invulnerabile (proprio come avviene negli incubi) in un nemico esterno in carne ed ossa e che possa essere realmente affrontabile e colpito. Se ora ci fermiamo un poco a riflettere su questi singolari rapporti tra questi due sistemi di sicurezza, coimplicati nella guerra, si arriva alla paradossale conclusione che la guerra è un’organizzazione di sicurezza non già perché permette di difenderci da nemici reali, ma perché riesce a trovare e al limite ad inventare dei nemici reali da uccidere, in caso contrario la società rischierebbe di lasciare gli uomini senza difesa di fronte all’emergenza del terrificante come puro nemico interno. “

Franco Fornari – Psicoanalisi della guerra

 

Psicoanalisi della guerra

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“La prima domanda rivolta dall’uomo della strada ad uno psicoanalista che tratti della guerra potrebbe essere questa: con che diritto uno psicoanalista si occupa di queste cose che non sono di sua competenza? La mia risposta è che lo psicoanalista, analizzando persone che vivono problemi politici, si trova in una condizione privilegiata per osservare le modalità individuali, i congegni interni cioè, attraverso i quali vengono elaborate le esperienze politiche e le esperienze sociali in genere. Egli è perciò nelle condizioni migliori per osservare l’influenza che l’inconscio in genere esercita sulle modalità di vivere le opzioni politiche o le modalità in cui inconsciamente la guerra è fantasticata dagli uomini. In modo particolare lo psicoanalista, attraverso il linguaggio simbolico e la dialettica affettiva (che ha le sue leggi particolari diverse dalla dialettica intesa come pura esperienza cognitiva) può osservare che le opzioni politiche e le esperienze degli individui in guerra — oltre a contenere motivazioni realistiche — vengono interferite da sistemi di difesa, da angosce psicotiche (cioè da paure vistosamente illusorie). È, quindi quest’ultima constatazione che sembra giustificare l’esercizio della ricerca psicoanalitica in un settore che, se indagato con uno strumento appropriato, rivela singolarità fattuali e grosse deformazioni di realtà che si avvicinano alle modalità di esperienza psicopatologica.”

 Franco Fornari – Psicoanalisi  della guerra

 

Peter Fonagy con IPP Torino

 

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In difesa della psicoanalisi. Alain Badiou

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“Ultimamente, in Francia, c’è stato un pullulare di attacchi molto violenti soprattutto da parte di persone incompetenti, contro la psicoanalisi. Sono attacchi che rappresentano un pericolo generale per tutto il mondo intellettuale perché evidentemente non mirano solo alla psicoanalisi. Marx, per esempio, è oggetto di un’intensa offensiva, accusato, dai nostri moralisti, di essere compromesso con l’inumanità del “totalitarismo”. Anche Darwin è stato messo alla gogna dai reazionari americani e da più parti è fortissima la tentazione di mettere in discussione le scoperte di Einstein. L’obiettivo, esplicito o meno, di questi attacchi è quello di distruggere le figure intellettuali moderne e di sostituirle con dei sotto-prodotti tecnici, comodi, usa e getta, conditi in salsa moralista passe-partout. Per me è necessario insorgere contro questa volontà di svalutazione e di addomesticamento del pensiero, sia politico, sia scientifico, sia psicoanalitico. Il pericolo è reale ed estremamente serio. Per parafrasare un motto famoso di Clemenceau, non possiamo lasciare la difesa della psicoanalisi ai soli psicoanalisti. La lotta dev’essere allargata. Certamente gli psicoanalisti sono in prima linea nella battaglia per il riconoscimento della loro disciplina e della loro pratica, però la professionalizzazione segnalata da Élisabeth costituisce una minaccia di auto-addomesticamento. Non si può abbandonare la psicoanalisi a questo destino funesto e gli aiuti dall’esterno sono necessari. Del resto, gli attacchi attuali contro la psicoanalisi mi sembrano ancora più gravi di quelli contro il marxismo, perché in fondo le polemiche interne o esterne fanno parte del marxismo stesso; le contraddizioni, gli antagonismi sono nel loro habitat naturale. Il marxismo presuppone e implica lo scontro. Quel che sta accadendo alla psicoanalisi, invece, è molto più pericoloso e l’allerta è massima, perché voler sradicare Freud o Lacan significa criticare la concezione stessa del soggetto moderno. E se si distrugge quest’ultimo, la porta è aperta a tutte le ideologie reazionarie della peggior specie. Ecco perché mi sento di lanciare solennemente quest’appello: insorgete tutti in difesa della psicoanalisi, in qualunque modo.”

 ”Alain Badiou, Elisabeth Roudinesco. “Jacques Lacan, passato presente. Un dialogo (Mimesis)”.

 

COVID-19 e protezione degli operatori sanitari – INAIL

 

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Il documento vuole essere un contributo informativo per la tutela della salute e sicurezza degli operatori sanitari, categoria di lavoratori che ha maggiore possibilità di entrare in contatto con soggetti potenzialmente infetti.

Qui il link per l’articolo

COVID-19: gestione dello stress tra gli operatori sanitari. Epicentro

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Da quando è cominciata l’emergenza sanitaria correlata alla diffusione della COVID-19 i professionisti sanitari sono impegnati in prima linea a fronteggiare l’epidemia nei vari setting del servizio sanitario, esposti al rischio di infezione e a un sovraccarico emotivo: carenza di adeguati dispositivi di protezione individuale, turni di lavoro incalzanti, fatica fisica, riduzione delle risorse umane e in alcuni casi precarietà organizzativa. A questo si aggiungono situazioni determinate dalla forte pressione a cui è sottoposto il servizio sanitario, che possono contribuire ad appesantire ulteriormente il vissuto emotivo dei professionisti: essere chiamati a intervenire in discipline diverse da quelle di appartenenza; la possibilità, per i medici neolaureati o gli specializzandi ancora in formazione, di trovarsi a fronteggiare condizioni critiche che richiederebbero maggiore esperienza; l’invito a continuare a lavorare anche se si è stati a contatto con pazienti affetti da COVID-19 e permanga il timore del contagio; le cure e il sostegno prestati a domicilio dai medici di medicina generale agli assistiti con sintomi più lievi. (…)

Qui l’articolo su Epicentro