ago 082017
 

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   Molta letteratura psicoanalitica mostra le proprie Colonne d’Ercole, al di là delle quali non è possibile andare, in quadri psicopatologici diversi arrivando al limite della possibilità di poter dare un aiuto significativo a patologie come la schizofrenia (per quanto valga oggi tale inquadramento). L’idea sottostante è spesso ancora quella che esista un continuum tra quadri cosiddetti “nevrotici” più affrontabili e con maggiori risorse disponibili per la “guarigione” (e qui non ci addentreremo su cosa ciò significhi in analisi) passando poi per gli stati “borderline” e quindi le psicosi, con minori chance di trattamento. Eppure per diverse ragioni facilmente comprensibili, si sta aprendo la strada una riflessione sui limiti e sull’opportunità dell’esperienza analitica in persone ormai anziane e che in passato non erano considerate idonee al trattamento analitico. L’idea non è certamente una novità, soprattutto ricordando come in campo medico gli operatori si trovino sempre più di fronte a pazienti anche molto anziani che vengono non solo assistiti, ma a cui vengono in numero sempre crescente proposte terapie anche impegnative. Nella storia della psicoanalisi si è assistito sempre più ad un ampliamento delle fasce d’età che possono avere giovamento dalla talking cure, ricordando sempre come fossero considerati limiti invalicabili l’età pediatrica da un lato e la maturità dall’altro. Se la comparsa di clinici come Melanie Klein hanno rappresentato un vero e proprio cambio di paradigma per l’età infantile, forse il tempo è maturo per una riflessione molto approfondita e sistematica sull’età “estrema” a cui la psicoanalisi può rivolgere i propri benefici. Tra i tanti, mi piace riportare una riflessione di Franco De Masi nel suo “psicopatologia e psicoanalisi clinica” dove lamenta da un lato come la letteratura psicoanalitica trascuri abbastanza la sofferenza connessa all’invecchiamento , mentre dall’altro segnala come ” i pochi casi trattati analiticamente presenti nella letteratura hanno risultati sorprendentemente buoni e, pertanto, sarebbe molti utile se gli analisti fossero più consapevoli della richiesta d’aiuto da parte delle persone anziane che mancano di “oggetti” capaci di accogliere la loro angoscia e trasformarla”.

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