Il setting clinico come determinante sociale della salute mentale e strumento di produzione o contrasto di disuguaglianze sociali
Matteo Bessone*, Pietro Sarasso**
*Sportello TiAscolto!, **Università degli Studi di Torino
Introduzione La salute mentale si distribuisce lungo un gradiente socioeconomico: a ogni posizione sociale è associato probabilisticamente un livello di salute mentale determinato dalle condizioni di vita quotidiane dei soggetti (determinanti sociali di salute; WHO, 2014). Inoltre, a parità di condizioni materiali, le comunità meno stratificate, godono di migliore e maggiore salute sia mentale che fisica rispetto a quelle caratterizzate da un gradiente socioeconomico più ampio (Wilkinson & Pickett, 2011). I meccanismi di stratificazione sociale sono legati alla distribuzione disuguale nel corpo sociale dell’insieme delle risorse materiali, di status e di aiuto che permettono ad ogni individuo di esercitare controllo sulla propria vita (Costa, 2014) e che determinano l’insieme dei vincoli e delle opportunità che i soggetti e i gruppi sociali sperimentano nell’interazione con il contesto.
La pratica clinica e la psicoterapia, all’interno di questa prospettiva, rischiano di costituire un doppio pericolo per il benessere della popolazione: da una parte perché, come già ampiamente discusso in letteratura (Martìn-Barò, 2018; Laverack, 2018; Saraceno, 2017; Costa, 2014, Wilkinson & Pickett, 2011; Prillentelsky, 2008; Foucault, 1976), rischiano di relegare all’interno del setting clinico, neutralizzandoli nell’individualismo dei processi psichici, i segni di una sofferenza talvolta frutto dell’incorporazione di strutture e processi sociali ingiusti.
Il secondo pericolo, solo raramente evocato, è costituito dalla possibilità che pratica clinica e psicoterapeutica abbiano un ruolo attivo nei processi di stratificazione sociale tramite la creazione e il mantenimento di una distribuzione diseguale delle possibilità di accesso al setting clinico. Così facendo, rischiano inconsapevolmente di dividere la comunità alimentando processi che Prillentelsky (2008) chiama “oppressione politica: la creazione di barriere, materiali, economiche, alla piena realizzazione di autodeterminazione e partecipazione democratica”. Nell’attuale congiuntura storico-sociale-economica tali effetti iatrogeni sarebbero amplificati in Italia dall’impossibilità di accedere, per coloro i quali si trovano in condizioni di disagio non acuto e di svantaggio economico, a servizi di salute mentale pubblici (nonostante l’inserimento dell’assistenza psicologica all’interno dei Livelli Essenziali d’Assistenza con Decreto 12.01.17 pubblicato in Gazzetta il 18/3/17) a causa dei criteri, funzionali alla razionalizzazione delle insufficienti risorse, che ne regolano l’accesso.
In sintesi, gli indubbi benefici clinici per soggetti appartenenti a categorie avvantaggiate e benefici economici e simbolici per gli psicoterapeuti non sembrano poter giustificare l’utilizzo incondizionato di setting tradizionali i quali potrebbero inconsapevolmente produrre sofferenza:
a. a livello sociale creando, alimentando e mantenendo, divisioni in seno alla comunità (stratificazione sociale)
b. impedendo l’accesso alle risorse di aiuto agli individui appartenenti a categorie più svantaggiate, con maggior probabilità di malessere psicologico.
L’attuale direzione della psicologia clinica sembra dunque incompatibile con quanto auspicato da Saraceno (2017): “non è più sufficiente essere consapevoli, sul piano teorico, del ruolo che i determinanti sociali della salute mentale e le disuguaglianze esercitano nell’etiopatogenesi della sofferenza, tale conoscenza deve trasformarsi in un cambiamento reale dei modelli operativi”. Continue reading »