dic 202011
 

La questione del’Articolo 18 è senza dubbio molto complicata e ormai totalmente ideologizzata: un articolo di fede sia per chi vuole abolirlo che per chi lo difende così com’è. La sua discussione necessita anche di buona preparazione su questi temi e di un briciolo di memoria storica. Perchè basterebbe partire da cosa successe nel 2003 quando sul referendum proposto da Rifondazione Comunista mirato all’estensione a tutti i lavoratori di questa norma, l’allora Segretario CGIL Sergio Cofferati diede indicazione all’astensione per farlo fallire: una norma quindi buona per molti, ma non per tutti. E proprio da qui si potrebbe sottolineare un fatto spesso dimenticato: l’Articolo 18 è valido per circa la metà dei lavoratori, mentre per gli altri semplicemente non esiste. E vista la precedente posizione sindacale sembra destinato a rimanere così com’è, per molti ma non per tutti. I termini del problema sono comunque oggi un po’ diversi, perchè esiste in realtà una proposta sull’argomento che è stata avanzata da Pietro Ichino. Per chi volesse approfondirla suggerisco di leggersi la sua “Inchiesta sul lavoro” recentemente pubblicata e costruita con domande e risposte senza esclusione di colpi. Sgombrando subito il campo, noi pensiamo che le argomentazioni di Ichino siano convincenti e costituiscono una base di lavoro sul tema che facciamo nostra per diversi motivi. Innanzitutto perchè crea una certa parità tra i lavoratori: ne abolisce alcune parti per tutti ma ne estende i benefici a tutti iniziando un percorso di equità di cui tutti parlano ma che nessuno propone. In un momento di instabilità e di trasformazione delle modalità del mercato del lavoro, propone di salvaguardare l’attuale norma per chi è già sotto l’ombrello dell’impiego a tempo indeterminato: nessun taglio netto, quindi, perchè le persone fanno i conti e decidono del proprio futuro e fanno le proprie scelte giocando una partita con regole già assegnate che non vengono cambiate all’ultimo minuto. Così viene immediatamente escluso il pericolo che l’introduzione del nuovo regime possa facilitare il licenziamento dei lavoratori già in organico. A tutti piacciono i modelli vincenti e che si sono dimostrati tutelanti e funzionali, in grado anche di garantire un corretto sviluppo senza carneficine sociali. A questo riguardo è riconosciuto come nel nord Europa scandinavo esistano modelli che continuano a funzionare nel sistema cosiddetto di welfare che infine comprende anche i meccanismi dei rapporti di lavoro. E la proposta di Ichino riprende bene quei modelli superando il problema dei costi di protezione sociale dei lavoratori oggi in Italia riversati sul pubblico erario (leggi incremento del debito) e ribaltandolo tra imprese e disponibilità già presenti ed attive nell’ Unione Europea. Ichino sposta il ragionamento sull’attuale modello in avanti: la sicurezza dei lavoratori può essere meglio garantita cn politiche di sostegno e di assistenza intensiva alla famiglia e ai lavoratori nella fase di passaggio da un’occuazione ad un’altra, più e meglio che ingessando i posti di lavoro. La stessa politica del mercato del lavoro deve trovare diversi meccanismi per cui le ristrutturazioni delle aziende, che possono aver bisogno di figure lavorative diverse, devono essere messe in campo prima, prevenendo le crisi aziendali e non essere consenstite solo dopo come conseguenza di queste. Convincente è inoltre l’argomentazione che proprio in un momento di crisi come l’attuale, le aziende sono ancora più riluttanti nell’assumere dipendenti a tempo indeterminato, come osserviamo con l’attuale proliferare di contratti di ogni tipo con la costante della precarietà. Ichino pone anche una condizione che a nostro avviso dev’essere mantenuta e cioè la necessità del cosiddetto “try and go” già presente nei paesi anglosassoni, per cui il progetto inizia in un quadro di sperimentazione, il “contratto di transizione”, per cui diverse agenzie indipendenti hanno già dimostrato interesse. Queste e molte altre ragioni ci spingono a schierarci con tale proposta e con l’azione di rinnovamento che il Governo sta compiendo proprio verso tali proposte. Un semplice accenno anche alla necessità di superare una discussione davvero solo ideologica, di comprendere come l’aver raggiunto buoni risultati in passato non costituisca la garanzia per mantenerli in futuro senza il coraggio dell’innovazione anche politica. Per noi infine resta sempre ferma l’idea che basterebbe applicare in maniera ferma e limpida la Costituzione e le leggi che discendono da essa per difendere ogni cittadino-lavoratore da soprusi che nemmeno l’articolo 18 ha la forza di spegnere; per non far cadere la nostra società, così come avvenuto nel recente passato, in un caos dove regna solo l’astuzia privata e lo sguardo limitato all’oggi in un mondo che non sta cambiando, ma è già cambiato.

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